“Ciaooo, raggio di sole. Ti sono mancato questo fine settimana?”.
Carlo entra in ufficio spalancando le braccia verso Paola. Il sorriso che scopre i denti, i capelli arruffati, e la voce nasale di chi si ha tutta l’aria essersi alzato un quarto d’ora prima.
“Buongiorno! Hai fatto le ore piccole ieri, e hai dimenticato di pettinarti?”. Le punzecchiature di Paola, quasi 20 anni più grande di lui, sono sempre accompagnate da un’occhiata che, ne è convinta, pur durando una manciata di secondi, rivela senza margine di errore le condizioni psico-fisiche del neo-trentenne. E’ sufficiente concentrarsi sul dettaglio che, di volta in volta, prevale sull’insieme: la voce, l’abbigliamento, o l’odore di fumo che avvolge Carlo, scortandolo fino alla scrivania.
“Ieri sera ho finito tardi in palestra, per fortuna è aperta anche la domenica. Tornato a casa sono crollato sul letto senza neanche cenare, e stamattina non ho sentito la sveglia. Comunque, anche se ho ripreso a fare sport solo da una settimana, sono già dimagrito un po’”. Fa l’occhiolino a Paola.
Ore 9,05. Prima di sedersi, Carlo poggia a terra lo zainetto con l’indispensabile per affrontare la giornata. Il contenitore di plastica con il pranzo, un saggio di filosofia, una bottiglia d’acqua da due litri, il pacchetto di sigarette appena comprato, gli integratori di vitamine, ed un flacone di ansiolitici. Li tira fuori uno ad uno e li allinea simmetricamente ai lati dello schermo del computer. Ripete l’operazione con l’accendino ed il cellulare, dopo averli estratti dalle tasche dei jeans. I rinforzi sono schierati. Può iniziare a lavorare.
Mentre controlla le email arrivate negli ultimi due giorni, si chiede cosa stia facendo Simonetta; forse gli ha scritto un messaggio durante il tragitto verso l’ufficio?
Il primo incontro con lei risale ad un mese fa: si sono conosciuti alla festa di compleanno di Enrica, una collega; Carlo l’aveva notata subito. In mezz’ora di chiacchierata avevano toccato gli argomenti più disparati, soffermandosi sulle comuni passioni: film, musica, e viaggi; poi lei si era allontanata dicendo che doveva rispondere ad una telefonata di lavoro, ed era sparita. Sabato sera Carlo l’ha incrociata nel pub in cui, un calice di rosso dopo l’altro, trascorre gran parte delle serate in cui non va in palestra; si è sfilato dal gruppo di ragazzi appena conosciuti, e l’ha raggiunta al bancone, sforzandosi di ignorare la lievitante tachicardia. Simonetta non aveva fatto niente per nascondere di pensare a tutt’altro: si guardava intorno, fissava l’ingresso del locale, e controllava continuamente il cellulare. L’amica con cui – diceva – si era data appuntamento, le aveva scritto un quarto d’ora prima per avvisarla di aver parcheggiato a pochi minuti dal locale, ma ancora non si vedeva. Dopo uno scambio di battute breve e generico, prima di salutarsi Carlo le aveva proposto di scambiarsi i numeri, ma senza troppa convinzione. Lei aveva accettato, e lui era tornato in fretta dagli altri. Preferiva tenere per sé gli effetti collaterali di quell’incontro: sudore, rossore e tremore alle mani.
Dopo aver atteso addirittura quasi 20 ore, ieri sera le ha scritto. Si sono scambiati una decina di messaggi, e quasi subito la conversazione ha virato su alcuni argomenti a cui Carlo aveva puntato, invano, sin dal primo incontro; Simonetta stavolta ha acceso i riflettori sulla sua situazione sentimentale. E’ stata fidanzata per quattro anni con Giorgio, poi, sei mesi fa, è finita: ormai da tempo lui preferiva trascorrere le serate in casa cucinando o guardando serie tv, anziché “andare alla scoperta del mondo”, lei aveva usato proprio questa espressione; niente più cene da trenta persone, cinema, né concerti. Comunque convivono ancora, pur dormendo in camere diverse, precisa, e aggiunge che sta pensando di prendere una casa in affitto con due amiche. Carlo ha colto la palla al balzo per invitarla ad una serata jazz; lei lo ha ringraziato, riservandosi di rispondergli entro oggi, e Carlo, dalle 5 alle 7.45, ha guardato il cellulare più o meno ogni cinque minuti. Poi gli occhi avevano cominciato a bruciare e si era ripromesso di riposarli un quarto d’ora, invece li aveva riaperti alle 8.30. Era quasi saltato dal letto, e dopo un fulmineo passaggio in bagno, aveva inforcato lo scooter. Solo il fatto di abitare a pochi chilometri dall’ufficio gli aveva evitato di arrivare in ritardo.
9.45. Dopo aver caricato alcuni file sul sito dell’azienda per cui lavora, e aver aperto la versione desktop di WhatsApp per leggere in tempo reale eventuali messaggi, Carlo raggiunge la macchinetta del caffè; la scrivania di Enrica è a pochi metri. La sua caffeina, adesso, sono le informazioni su Simonetta.
Guarda Enrica mentre le si avvicina. Indossa un vestito color ocra a fascia, con il corpetto elasticizzato, è seduta di tre quarti, quasi accasciata sullo schienale. Una posizione, questa, che evidenzia la protuberanza del suo addome; Carlo ne aveva riso spesso con l’ex collega Piero, quando erano da soli, e ne aveva parlato anche con Emanuela, un’altra collega, fumando, sospirando e schiacciando nervosamente il mozzicone di sigaretta. Non si capacitava, diceva, di quanto fosse ingrassata in meno di sei mesi. Di quanto si fosse trascurata, e del fatto che sembrasse incinta.
Carlo afferra la poltroncina poggiata al muro, e si siede accanto a Enrica. “Sai che da quando stai con Riccardo sei più carina del solito? C’hai sempre un sorrisone stampato in faccia…dimmi un po’,dove ti ha portata questo fine settimana?”
“Ahaha”. Nonostante Carlo la fissi, Enrica non distoglie lo sguardo dallo schermo del suo pc, mentre gli risponde. “Non lo sai che il sole bacia i belli? E’ questo il mio unico segreto! Riccardo giovedì mi ha fatto una sorpresa: ha prenotato un attico in pieno centro a Firenze. L’avevo adocchiato su Internet meno di due settimane fa”.
“Eh, ma l’ho capito subito che è innamoratissimo, al tuo compleanno non aveva occhi che per te! A proposito…ricordi che quella sera ho conosciuto Simonetta? Beh, sabato l’ho rivista in un locale, le ho chiesto il numero, ieri ci siamo scritti per un bel po’ di ore, e l’ho invitata ad un concerto domani, ma non mi ha ancora dato una risposta. Secondo te è successo qualcosa? Non avrebbe motivo per dirmi di no, dato che con il suo ex ormai vivono da separati in casa…sei d’accordo?”
“Guarda, lei è fatta così. La incontri per caso, o durante serate con amici comuni, e promette di chiamarti il giorno dopo per organizzare un aperitivo. Poi il silenzio. Può durare anche mesi, eh. Ormai non ci faccio più caso. Non devi prenderla come una cosa personale”.
“Certo, capisco. Hai ragione…figurati”. La voce di Carlo diventa un sussurro. Abbassa gli occhi mentre incrocia le braccia sul petto. Come ha fatto centinaia di altre volte, guarda l’unghia del pollice sinistro. E’ rosa, non c’è niente di cui preoccuparsi, si ripete, ma non resiste alla tentazione di una, due, tre ulteriori occhiate. No, non è rosa, è bluastra. Potrebbe essere il sintomo di un infarto imminente, anche perché nel frattempo sono cominciati i crampi al braccio sinistro, e le fitte al petto.
“Vorrà dire che se non si farà più viva, sarà lei a rimetterci. Peccato”. Sorride come se due elastici gli tirassero le guance verso le orecchie. Torna alla sua scrivania dopo aver bevuto in un unico sorso il caffè ormai freddo.
11.50. Carlo ha bisogno di uscire dall’ufficio, ma non può alzarsi dalla sedia. Gli gira la testa, e non riesce a controllare il tremore alle gambe. Manda un messaggio ad Emanuela, collega con cui condivide la scrivania (e un disturbo d’ansia focalizzato sull’ipocondria). A dividerli ci sono gli schermi dei loro computer. Le chiede un bicchiere d’acqua: è successo altre volte, quindi non sono necessarie ulteriori spiegazioni.
“Tieni Carlo”, dice sforzandosi di non essere sentita dagli altri. Gli dà una pacca sulla spalla e sposta la sedia accanto a lui.
Prima di bere, lui ci versa dentro una decina di gocce di ansiolitico. Dopo qualche minuto in silenzio, risponde. “Grazie, ora va meglio. Mi stavo spaventando, non riuscivo a capire cosa stava succedendo. A parte che mi sentivo malissimo”.
“Purtroppo, la paura si autoalimenta, ormai lo sappiamo. Ti accompagno fuori a prendere una boccata d’aria?”.
“Sì, buona idea, ma restami vicina perché non vorrei cadere”.
Si trattengono fuori per un’ora circa, durante la quale Carlo elenca tutte le situazioni degli ultimi 15 giorni in cui potrebbe esserci stato un preavviso dell’ipotetico, imminente, infarto. L’affanno nel salire le scale, il formicolio alla mano sinistra, il mal di stomaco dopo la pausa pranzo. Subito dopo, però, ridimensiona il perimetro di ciascuna di queste: era tornato stremato dalla palestra, stava pensando a qualcosa che avrebbe voluto evitare…e aveva mangiato troppo in fretta. Emanuela tenta ripetutamente di spostare la conversazione sulle passioni che Carlo ha accantonato per la difficoltà di concentrarsi: il teatro, la cucina, la lettura. Per tutta risposta, dopo aver fatto cenno di sì con la testa, lui torna sempre sulla domanda che gli lampeggia in testa come la spia di serbatoio in riserva: sto per morire?
Poi si salutano. Lui va a pranzo, ed Emanuela a casa.
19.20. Carlo imbocca il corridoio del pronto soccorso di un ospedale dall’altra parte della città. Nel policlinico a pochi minuti di scooter da casa sua è già stato un paio di volte qualche mese fa, e per lo stesso motivo di oggi, diventando il bersaglio del sarcasmo di medici e infermieri. Ha iniziato così a praticare una sorta di turismo sanitario, dal terzo episodio di sospetto infarto, infatti, si è diretto verso ospedali distanti più di mezz’ora.
Bollato dal codice verde, si è seduto in disparte. Era convinto che, in virtù dell’orario, sarebbe riuscito a fare un elettrocardiogramma – e se fosse stato fortunato, “strappare” anche un ecocardiogramma – prima delle 21. Invece davanti a lui, in attesa, ci sono un (codice) arancione e tre codici azzurri. Senza contare la famiglia in codice rosso causa shock anafilattico arrivata pochi minuti fa.
Evita gli sguardi altrui fissando la porta del pronto soccorso che dà verso l’esterno, ma tenta di carpire bocconi di conversazione per scoprire cosa ha portato lì i suoi colleghi d’attesa, e soprattutto se la priorità da loro acquisita sia meritata. Una settantacinquenne con sospetta ulcera, una donna incinta con perdite frequenti, un uomo in sedia a rotelle, ed una bambina di circa due anni che soffre di stitichezza. Carlo è l’unico ad essere arrivato da solo, tutti gli altri sono in compagnia di figli, compagni, fidanzate, genitori.
Dopo circa un’ora, alle fitte ed al dolore al braccio sinistro si aggiungono la salivazione azzerata e la fame d’aria. Si alza di scatto, raggiunge l’accettazione attraversando il corridoio formicolante di lamenti, rumori e odori, come se dovesse aprirsi un varco nella foresta a colpi di machete.
“Senta, io sto sempre peggio. Non posso aspettare ancora, devo entrare. Anzi, chiami in cardiologia, così vado direttamente in reparto. Faccio tutti gli accertamenti del caso, e mi tenete una notte in osservazione per sicurezza”.
“Signor Feroci, si rende conto della gravità dei casi intorno a lei? Se io e il collega le abbiamo dato il codice verde c’è un motivo. Cortesemente, ci lasci lavorare”. L’infermiera gli risponde senza tradire alcuna emozione, sposta gli occhi verso di lui, ma gli guarda attraverso.
“Sa che se mentre mi tiene qui ad aspettare, mi viene un infarto e crollo a terra, la responsabilità è sua? A questo punto devo chiederle di darmi il nome e cognome suo e del suo collega”. Il tono di Carlo sale repentinamente, la voce gli trema, le narici si dilatano.
“Tanto per cominciare, si dia una calmata. Non succederà, perché faccio questo lavoro da vent’anni e riconosco i veri sintomi di infarto. Comunque, se succederà, avrà il codice rosso che tanto desidera, e salterà la fila. Ma credo che a quel punto rimpiangerebbe il verde che le ho dato prima”. L’altro infermiere non riesce a trattenere una risata, poi fissa Carlo per qualche decina di secondi che gli sembrano minuti. Riconosce quello sguardo, ha perso il conto di quante volte l’ha già subito, l’unica differenza è che oggi vorrebbe rispondere con una gragnuola di pugni. Calcola rapidamente il rapporto costi/benefici che implicherebbe attuare la sua fantasia, e torna a sedersi.
21.00 Il formicolio si è esteso ai piedi ed alla mano destra, dopo essere rimasto venti minuti nella stessa posizione. Mani intrecciate, gomiti puntati sulle gambe e busto in avanti. Ha cominciato a fissare alternativamente i gruppi di persone intorno a lui, che non sono diminuiti perché nel frattempo è arrivato un altro codice rosso. Pensa di chiamare la sua psicoterapeuta, ma per farlo dovrebbe allontanarsi, e questo potrebbe azzerare il contachilometri dell’attesa. Decide di mandarle un messaggio. Scuote prima un piede e poi l’altro, ruota la mano destra, e prende il cellulare dalla tasca dei jeans.
Digita un breve resoconto della giornata, concludendo con una domanda sui provvedimenti da prendere nei confronti degli infermieri del pronto soccorso. Ha appena cliccato su Invia, quando sul display compare un messaggio.
“Ciao bello, oggi ho corso da una parte all’altra senza fermarmi. Mi ero dimenticata del tuo invito. Poi tornando a casa, ho visto il manifesto del concerto. Domani dovrei esserci, ma farò un po’ tardi. Dopo che paghi i biglietti, puoi lasciare il mio alla reception, così quando arrivo, entro subito, e ti raggiungo? Grazie, e buona serata. A domani”.